domenica 28 dicembre 2014

Francesco Gennari a Firenze fino al 3 gennaio

Se in questi ultimi giorni del 2014 vi trovate a Firenze non perdete la prima antologica di Francesco Gennari (Pesaro, 1973) in un museo italiano. Noto in modo particolare per i suoi lavori scultorei, è proprio il museo dedicato a uno dei più grandi scultori italiani del Novecento, Marino Marini, a ospitarne la mostra curata da Alberto Salvadori.

francesco gennari firenze

Gennari è uno dei miei artisti italiani preferiti soprattutto per la profondità della sua ricerca, che da anni porta avanti con coerenza e grande cultura. Partendo dall’osservazione del reale, ne ripropone la sua personale versione attraverso una nuova creazione, una specie di azione demiurgica che nasce dall’intuizione e si sviluppa grazie alla ragione. Sono soprattutto le dimensioni intangibili, come il vuoto, l’assenza, ad incuriosirlo e a stimolare i desiderio di renderle materiali, visibili.


Un altro aspetto per cui ammiro Gennari è la sua abilità nell’affrontare e dedicarsi a diverse tecniche e medium espressivi. Dalla fotografia alla scultura al disegno, ciascun lavoro trova una perfetta collocazione in un corpus di opere ricco e personalissimo. In molti casi si serve dell’aiuto sapiente dei migliori artigiani italiani, depositari delle antiche tecniche di lavorazione del marmo e del vetro. Per le opere presentate a Firenze sono nate nuove collaborazioni con i maestri vetrai di Murano e i maestri del marmo di Carrara.

francesco gennari firenze

Una visita al Museo Marini Marini è necessaria per chi non conosce Francesco Gennari, validissimo artista, perché avrà modo di avvicinarsi alla sua opera dagli esordi alle ultime creazioni. Per chi invece già lo ama sarà un momento prezioso per vedere finalmente raccolte tutte le sue ricerche.

Francesco Gennari
a cura di Alberto Salvadori
fino al 3 gennaio
Museo Marino Marini

Piazza San Pancrazio, Firenze


www.museomarinomarini.it

photo credits: Dario Lasagni

martedì 23 dicembre 2014

La cultura iraniana in mostra al MAXXI di Roma


Una delle mostre che più mi incuriosisce e che spero di poter visitare presto ha inaugurato una decina di giorni fa a Roma, proprio mentre trapelavano nuovi scandali e fiorivano le indagini. La ospita il MAXXI, museo che genera sempre molte aspettative salvo poi spesso deluderle. Spero non sia questo il caso, ma mi pare che le premesse siano ottime dato che si tratta di una coproduzione con il Musée d’Art Moderne de la Ville de Parisattraverso il team di curatori Catherine David, Odile Burluraux, Morad Montazami, Narmine Sadeg e Vali Mahlouji.

Ad attirarmi è chiaramente il tema: Unedited History. Iran 1969-2014 racconta attraverso 200 opere la cultura visuale dell'Iran dagli anni Sessanta ad oggi. Questo numero mi spaventa, temo il rischio della dispersione, ma la suddivisione in diverse sezioni mi sembra possa agevolare la fruizione. Il concept della mostra si esprime nel titolo, che vuole dare l'idea di una storia raccontata in maniera oggettiva perché "unedited", non montata, come si direbbe nel linguaggio cinematografico. Solo mettendo insieme i frammenti si ricompone il discorso.

Morteza Avini
Morteza Avini, Aqiqat, 1980
La prima sezione racconta gli anni della “modernizzazione” dal 1960 al 1978, quando in Iran la cultura si sviluppa notevolmente grazie alla nascita di eventi di rielievo internazionale, come le biennali e di istituzioni come il Museo d'Arte Contemporanea di Teheran. Sono gli anni in cui gli intellettuali iraniani ragionano sulla definizione di un'arte non occidentale o non occidentalizzata. Domina la sezione Bahaman Mohassess (1931-2010), nei cui dipinti è chiara la provenienza dal mondo della scultura e dove Roma è protagonista. Proprio nella città eterna Mohassess ha studiato e sceglie di vivere auto isolandosi fino alla morte avvenuta nel 2010.
Kaveh Golestan
Kaveh Golestan
La seconda sezione riguarda gli anni della Rivoluzione e della guerra Iran-Iraq fra il 1979 e il 1988. In questo periodo si sviluppano in modo particolare le pratiche legate alla documentazione attraverso fotografia, video e cinema, dove nascono per la prima volta scene di mobilitazioni di massa. La forte contrapposizione alla lettura ufficiale degli eventi nascono piccole realtà clandestine che si occupano anche di archiviare il materiale di protesta. Il reportage diventa più crudo e realistico nel video di Morteza Avini (1947-1993), Haqiqat (Verità), realizzato usando una telecamera portatile e intervistando attraverso una voce fuori campo quei soldati destinati a sacrificarsi per gli ideali della Rivoluzione.

L'ultima sezione cerca di individuare le prospettive contemporanee, dalla fine della guerra con l'Iraq a oggi (1989-2014). Le nuove generazioni di artisti sono sempre più attirate dalla cultura europea e si trasferiscono in Europa alla scoperta di un approccio all'arte più aperto di quello appreso in Iran fino agli anni Ottanta. Gradualmente il capitalismo cerca di integrarsi alla cultura islamica e anche chi sceglie di rimanenere in patria guarda alle richieste del mercato internazionale. Resta forte la tradizione della fotografia documentaria nata negli anni Settanta, in opposizione alle immagini della moda e della pubblicità, con gli eredi di Bahman Jalali e Kaveh Golestan
Barbad Golshiri
Barbad Golshiri, Tomb sans titre, 2012
Sono curioso di vedere dal vivo l'opera di Barbad Golshiri (1982), artista che grazie a Claudia Gian Ferrari ho avuto modo di conoscere ancora in tempi non sospetti per la mia avventura da collezionista. Si tratta di un omaggio a un uomo morto per motivi politici, tema assai caro a Golshiri, per il quale ha costruito una tomba-sarcofago sotto forma di stencil di ferro, costituito da lastre trasportabili che creano una lapide temporanea il cui epitaffio si ottiene spargendo la lastra di cenere e lasciandone quindi il segno sul pavimento. Poesia pura.
La mostra è aperta fino al 29 marzo 2015, non perdetela.



martedì 16 dicembre 2014

Sandro Kopp da Otto Zoo ci mostra il ritratto nell'epoca del digitale

Ha inaugurato qualche giorno fa da Otto Zoo - e vi consiglio di non perdervela - la prima personale italiana di Sandro Kopp (Heidelberg, 1978), artista dalle radici neozelandesi e tedesche che già lavora con galleristi del calibro di Lehmann Maupin a New York e Victoria Miro a Londra.

Come può il ritratto, il più classico dei generi della pittura figurativa, avere nuova vita nell’epoca della digitalizzazione estrema? Kopp accetta la sfida e presenta da Otto Zoo due serie di lavori focalizzati intorno alla figura umana.

La prima, The new me, è una serie di autoritratti dipinti allo specchio, uno per ogni giorno del mese lunare. Un ciclo che Kopp aveva già prodotto cinque anni fa e che lascia intendere come talvolta sia impossibile autodescriversi se non in modo frammentario e incompleto.

Il secondo nucleo di opere, You are there, è costituito da ritratti realizzati attraverso Skype. Il medium tecnologico consente di connettere e lavorare con amici in ogni parte del mondo, ma per Kopp è indispensabile mantenere il legame con l’elemento naturale. Per questo motivo, terminata la conversazione-posa, chiede al proprio modello di inviargli una fotografia scattata in un contesto naturale e significativo, spunto primario per ciascuno dei ritratti. 

Non manca una riflessione sulla condizione apolide dell’artista, la cui identità si emancipa definitivamente dal concetto di identità geografica e nazionale grazie alla tecnologia.



Otto Zoo
Via Vigevano, 8 - Milano
info@ottozoo.com

Potete visitare la mostra con questi orari:
fino al 20 dicembre dal lunedì al sabato dalle 14.00 alle 19.00
dal 7 al 17 gennaio dal mercoledì al sabato dalle 14.00 alle 19.00

mercoledì 3 dicembre 2014

Ancora qualche giorno per Irwin e Turrell a Villa Panza

Quando lo scorso anno inaugurò a Villa Panza la mostra di Robert Irvin e James Turrell AISTHESIS. All’origine delle sensazioni con l’intenzione di durare ben 11 mesi mi sembrò una scelta impegnativa e coraggiosa. Ora la proroga fino all’8 dicembre dimostra la lungimiranza dei curatori e celebra il successo meritato per questa doppia personale che prosegue idealmente il lavoro di ricerca di Giuseppe Panza di Biumo, esempio di collezionista dal fiuto ineguagliabile.


Robert Irwin, Varese Window Room, 1973
Fu Panza, ormai quarant’anni fa, a volere gli allora giovanissimi artisti americani in Italia. Nacquero in questo modo opere come Varese Window Room (1973) di Robert Irwin, una finestra che incornicia un grande albero offrendo un’immagine diversa in ogni momento della giornata e in ogni stagione. O come Sky Space I (1974) di James Turrell: una stanza completamente vuota e bianca con un varco quadrato sul soffitto dove la porzione di cielo visibile diventa un dipinto variabile a seconda delle sfumature del cielo.

James Turrell, Sky Space I, 1974
Opere eccezionali ormai entrate nella storia, ma attualissime perché invitano a ritagliarci il tempo per osservare le cose e entrare in simbiosi con esse, lavorando sull’origine delle sensazioni, come recita il titolo della mostra. E la continuità fra le opere della collezione permanente e gli interventi site-specific di Irwin e Turrell è entusiasmante. Passato e presente si fondono per celebrare le potenzialità della luce come medium creativo, l’idea di opera d’arte come esperienza totalizzante e immersiva e il rapporto viscerale fra arte e architettura. 


James Turrell, Sight Unseen, Villa Panza, 2013
Se in questo lungo anno di mostra non avete mai fatto un salto a Varese per Villa Panza non perdete l’occasione in quest’ultimo weekend. Se ci siete già stati, magari in primavera o estate, immaginate come la vostra esperienza possa essere diversa sotto il timido cielo invernale. Oppure tornate per rivivere l’esperienza del Ganzfeld di Turrell, regalando ai vostri sensi qualche istante di corto circuito ed uscendo nuovamente estasiati dalla mostra dell’anno