lunedì 30 giugno 2014

Talvolta essere maldestri si rivela provvidenziale: come ho conosciuto le opere di Sebastiano Mauri

Sebastiano Mauri, Gods versus Aliens (Kali), 2013
Immaginate cosa possa significare, per un appassionato di cultura indiana come me, scontrarsi (letteralmente, perché ci sono quasi caduto sopra mentre gironzolavo per una mostra) con una scultura rappresentante la Dea Kali. Un corto circuito inaspettato, un’altra di quelle occasioni in cui ho pensato che non avrei potuto tornare a casa senza quell’opera. Immaginate poi lo stupore nello scoprire che si trattava di un artista italiano (a dire la verità è per metà argentino), che si era servito di quell’immaginario per trasmettere un messaggio ben preciso. La serie Gods versus Aliens esprime un’idea di spiritualità che va al di là dei culti specifici e che quindi mina le nostre convinzioni a proposito delle differenze religiose. Tutti crediamo in qualcosa di più alto e più grande di noi, che si tratti del Dio cristiano, di Allah, di Buddha o di una pluralità di dei. Tutti cerchiamo in qualche modo delle risposte. Questo non ci differenzia, anzi ci rende molto più simili di quanto pensiamo, ci ricorda che siamo prima di tutto esseri umani. Mauri ci riflette con ironia attraverso assemblage di oggetti protetti da campane di vetro, in cui si incontrano statue di divinità con esseri alieni e il bric-à-brac di decorazioni luccicanti e appariscenti collezionate durante i viaggi diventa un surrealistico scenario.

A chi non conoscesse questo artista consiglio di fare un salto alla Galleria Otto Zoo di Milano, dove ancora per qualche giorno si può visitare una mostra personale dal titolo Shadow of Doubt. Si tratta di opere assai diverse da quelle che vi ho descritto, ma credo sia una nuova fase della sua riflessione sulla diversità. Vi aspetta un’installazione multimediale in cui audio e video sono collage di frammenti. Versioni strumentali di famose pop song che si rincorrono sopra un’unica base, l’Om, e 40 volti di uomini, donne e bambini proiettati su tele in cui compaiono dipinti solo occhi, naso e bocca. Come a dire ancora una volta che, liberandoci dal pregiudizio, scopriremmo molecole strutturali che ci rendono tutti simili, a prescindere dal genere, dall’età, dall’etnia. Il confine fra noi e l’altro è quindi assai labile e un giorno potremmo renderci conto che stiamo facendo guerra a noi stessi.











Sebastiano Mauri, frame da Shadow of doubt, 2014


Sebastiano Mauri. Shadow of doubt
OTTO ZOO
Via Vigevano, 8
www.ottozoo.com

lunedì 16 giugno 2014

Da non perdere: Cildo Meireles all’Hangar Bicocca

Credo sia impossibile cominciare questa nuova avventura da blogger senza parlare di Hangar Bicocca, una realtà che difficilmente delude per la qualità delle proposte, anche se molti ancora la snobbano semplicemente per la sua posizione un po’ periferica. D’altronde ad affiancare Andrea Lissoni nella curatela dell’ex spazio industriale gestito da Pirelli è stato chiamato Vicente Todolì, colui che per ben otto anni ci ha fatto sognare alla Tate Modern di Londra (il “sole” di Olafur Eliasson, gli scivoli di Carsten Höller, giusto per intenderci). Ma non voglio soffermarmi sullo spazio espositivo, su cui avrò altre occasioni per tornare e mi concentro su una mostra che ha inaugurato tempo fa e molti di voi avranno già visitato. Ecco, se non l’avete fatto sappiate che è proprio da non perdere.

Babel, 2001 Installation view at Fondazione HangarBicocca, 2014 Foto/Photo Agostino Osio Courtesy Fondazione HangarBicocca, Milan; Cildo Meireles; The Museum of Contemporary Art Kiasma, Helsinki, Finlandia
Mi riferisco alla personale (la prima in Italia) dell’artista brasiliano Cildo Meireles, classe 1948, considerato uno dei padri dell’arte concettuale nel suo paese. Chi mi conosce (e magari chi mi conoscerà attraverso questo blog) potrebbe rimanere stupito da questa scelta. Sì, ho una passione per l’India e il Medio Oriente, ma sono convinto che alcuni artisti siano in grado di comunicare e coinvolgere in maniera universale, a prescindere dai gusti personali e senza dubbio colloco Meireles fra questi. Qual è il suo trucco? Prima di tutto lo spaesamento provocato dall’utilizzo di materiali inconsueti, appartenenti a mondi distanti, di cui si serve con estrema libertà creativa per incuriosire lo spettatore e trascinarlo in un’esperienza multisensoriale.

Entrevendo, 1970/1994 Installation view at Fondazione HangarBicocca, 2014 Foto/Photo Agostino Osio Courtesy Fondazione HangarBicocca, Milan; Cildo Meireles
 Insomma, chi ha detto che l’arte è fatta solo per la vista? Provate a entrare nell’imbuto di Entrevendo e non dimenticatevi di assaporare i due pezzetti di ghiaccio, uno dolce e l’altro salato, che grazie all’azione del ventilatore si scioglieranno pian piano nella vostra bocca. Non è forse la materializzazione di quello che per secoli poeti e artisti hanno chiamato sinestesia, una stimolazione sensoriale che coinvolge contemporaneamente diversi sensi? E, se ci riflettiamo, non è forse una dichiarazione dell’impossibilità di ragionare in modo univoco e predefinito?


Marulho, 1991/1997 Installation view at Fondazione HangarBicocca, 2014 Foto/Photo Agostino Osio Courtesy Fondazione HangarBicocca, Milan; Cildo Meireles
Anche Marulho vuole ingannare la nostra percezione, invitando a sporgerci su una rampa di legno che diventa un molo su un mare costruito da una distesa di libri, mentre ascoltiamo quello che sembra il mormorio delle onde è invece una voce umana che pronuncia la parola “acqua” in 85 lingue differenti.

Abajur, 1997/2010 Installation view at Fondazione HangarBicocca, 2014 Foto/Photo Agostino Osio Courtesy Fondazione HangarBicocca, Milan; Cildo Meireles
L’opera che mi ha rubato il cuore (mi piace eleggerne una per ogni esposizione) è Abajur, una specie di gigantesca lanterna cinese che ruotando mostra un rilassante paesaggio marino. Ancora una volta, però, un secondo step percettivo mostra la realtà per quella che è: guardando verso il basso ci si accorge che la rotazione è provocata da alcuni uomini che spingono una sorta di timone, lasciando precipitare lo spettatore dall’iniziale piacevole attrazione verso una ben più amara riflessione sul lavoro umano nella sua componente più fisica e primitiva. Ma il lavoro umano può essere interpretato anche come fonte di energia, luce e soprattutto bellezza: d’altronde senza l’azione dei performer l’installazione non avrebbe vita. È così che mi piace interpretare quest’opera.

Através, 1983-1989 Installation view at Fondazione HangarBicocca, 2014 Foto/Photo Agostino Osio Courtesy Fondazione HangarBicocca, Milan; Cildo Meireles
Através (particolare), 1983-1989 Installation view at Fondazione HangarBicocca, 2014 Foto/Photo Agostino Osio Courtesy Fondazione HangarBicocca, Milan; Cildo Meireles

Cildo Meireles, Installations
HangarBicocca
Via Chiese, 2 – Milano
fino al 20 luglio 2014
dal giovedì alla domenica, dalle 11:00 alle 23:00
www.hangarbicocca.org