Ero troppo curioso di visitare il
nuovo spazio di
Raffaella Cortese, che ormai ha reso via Stradella una
route des arts, con ben tre vetrine dedicate ciascuna a una mostra diversa. Così mi sono gettato a capofitto alla scoperta della personale di
Marcello Maloberti, che è molto più di una mostra: è un vero autoritratto.
Marcello è presente con tutti gli elementi della sua ricerca, dal tavolo che ricorda la famosa fotografia in cui aveva nascosto la nonna sotto il tavolo (
Casa, 1993) e che ora nasconde delle improbabili aranciate arabe come le merende sotto il banco di scuola, ai faldoni che raccolgono 220 pensieri scritti a mano e raccolti in cartelline di plastica da sfogliare rigorosamente con i guanti. Ho subito pensato che questa scelta nascondesse il desiderio di volerci far maneggiare con cura le sue riflessioni. Mi sono perso nella lettura di queste frasi, brevi e incisive quasi come gli status di Facebook. Dentro c’è di tutto: dalla cultura alta al
non sense, dall’artistico al personale, dal futile al necessario: “Il mio lavoro nasce da uno spavento”, “Lascia che la materia si pieghi come vuole, non stringere troppo”, “Prima o poi tutti fanno un testa coda” e così via fino all’aforisma per eccellenza, tradotto nella scritta al neon che invade tutta la parete di fondo: “Non fare alla rosa quello che la rosa non vuole fare”. Una auto-citazione estrapolata da una conversazione con Pier Paolo Calzolari che invita a non tradire la natura delle persone e che mi sento di sottoscrivere.
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Marcello Maloberti, Casa, 1993 |
Per entrare definitivamente nella testa di Maloberti bisogna però aprirne la “scatola nera” che, fuor di metafora, è un vero e proprio contenitore in cui l’artista ha raccolto una segretissima selezione di citazioni, un
libro d’artista conservato gelosamente da Raffaella Cortese e mostrato solo ai più curiosi. E certo io non potevo esimermi!
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Marcello @ Raffaella Cortese, installation view |
Dal civico 4 sono passato poi al 7, la sede storica, per la mostra di
Keren Cytter, artista di Tel Aviv che non conoscevo molto. L’allestimento è molto intimo e accogliente, con i tendaggi di pelle bianca dipinta che introducono al film
Siren come fossero un sipario. Iniziata la visione, lo stato d’animo cambia: la narrazione è volutamente disorientante, con la sua mancanza di linearità, e attraverso ripetizioni e flash back racconta la storia di un amore non corrisposto, la cui colonna sonora, anch'essa interrotta e ripresa più volte, è
Song to the Siren di Tim Buckley. Un lavoro toccante.
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Keren Cytter, Siren @ Raffaella Cortese, installation view |
Ciliegina sulla torta l’artista coreana
Kimsooja (al civico 1) che torna a farci sognare condensando in due lightbox la forza cromatica del progetto che ha tolto il fiato a chiunque alla scorsa
Biennale di Venezia. Ricordate quel padiglione ai Giardini in cui si era invitati a a percorrere lo spazio illuminato a piedi scalzi, in assoluta contemplazione del proprio respiro, per poi a entrare in una stanza buia e completamente ovattata? I più smemorati possono guardare il
video e poi non perdere la mostra da Raffaella Cortese che va avanti fino al 13 novembre.
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Kimsooja @ Raffaella Cortese, installation view |
RAFFAELLA CORTESE
Kimsooja / Marcello Maloberti / Keren Cytter
fino al 13 novembre 2014
Milano, Via Stradella 1, 4, 7
www.galleriaraffaellacortese.com
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